Gaspar Noè, assieme ad altri illustri colleghi europei, fa parte di quella schiera di autori che proprio non se la sentono di stare in disparte e far parlare delle loro opere e di conseguenza di loro stessi.
Figlio di Luis Felipe Noè, pittore argentino le cui opere sono esposte nei più importanti musei di tutto il mondo, Gaspar Noé nasce a Buenos Aires e fin da bambino coltiva la passione per l’immagine, in principio affiancando il padre e successivamente girando da ragazzo i suoi primi cortometraggi.
Riesce a richiamare presto l’attenzione con il mediometraggio “Carne” 1991 presentato in diversi festival, riscuotendo successo di pubblico e critica tanto da permettergli di trovare i finanziamenti per il lungometraggio successivo: “Seul contre tous” imponendosi così agli occhi della critica come regista provocatorio e coraggioso.
Gli anni ’90 sono molto importanti per Gaspar Noè, anni in cui il regista cerca una propria identità sperimentando, creando un proprio stile e una precisa scelta poetica, alternando la sua attività registica a quella di insegnante nelle scuole di cinema tenendo corsi di regia e fotografia.
Nel 2002 sconvolge il festival di Cannes con il famigerato “Irreversible” film amato da pochi e odiato da tanti, che sicuramente ha sconvolto il pubblico non solo di Cannes, ma del mondo intero. Il film racconta una storia piuttosto classica: un uomo vuole vendicare la sua compagna dopo che questa è stata barbaramente aggredita.
Severamente vietato ai minori, il film presenta alcuni tratti stilistici oggettivamente innovativi e interessanti. La regia è studiata al dettaglio, le dominanti cromatiche del rosso e del giallo sembrano straripare dallo schermo… ma tutto il resto si perde nella provocazione più gratuita e fastidiosa.
Cinque anni dopo torna a far parlare di sé con quella che è la sua opera più complessa “Enter the void”, ambizioso progetto che tratta il tema della reincarnazione, che ottiene ottime critiche ai festival sparsi in tutta Europa. Questo film è un’assoluto capolavoro di stile osannato dalla critica e da tanti cineasti.
Il 2015 invece vede l’uscita di “Love” forse il suo film più bello, che come Nymphomaniac di Lars Von Trier, spazza via il confine tra cinema hard e film d’autore.
“Love” rimane il titolo più personale di Gaspar Noè e forse il film più bello che abbia mai girato. Un film dove le ossessioni dei due protagonisti vanno a formare un vortice in cui inevitabilmente si perde anche lo spettatore. Un’opera in cui Noè mostra la sua abilità tecnica e il suo stile unico.
Il suo ultimo film, Climax, è un delirio di angoscia e orrore. La storia è molto semplice: un gruppo di ragazzi durante una festa beveno del punch “corretto” con LSD. Da quel momento inzia l’inferno.
Nonostante il film abbia ottenuto un buon successo, rimangono lontanti i picchi poetici del precendete “Love” ma i fan integralisti dell’autore davanti a questi novanta minuti sono andati in estasi. La macchina da presa non si ferma mai e da questo film se ne esce completamente intotiti. “Climax” però sembra assomigliare più a un esercizio di stile che a un film sentito viscerlamente dal suo autore.
Vedere i film di Gaspar Noè è sempre un’esperienza, c’è chi ne rimane completamente disgustato e chi invece urla al capolavoro. Pochi rimangono nel limbo dell’incertezza, provando sia rabbia sia ammirazione.
Impossibile non riconoscere delle doti stilistiche e tecniche straordinarie (Noè infatti è sia montatore sia direttore della fotografia) e delle intenzioni narrative nobili, come indagare la bellezza e la disperazione che dà l’amore ad ognuno di noi nel caso di “Love”, oppure ammirare la padronanza registica di “Enter the Void”, dove il piano sequenza iniziale di trenta minuti è una delle cose più interessanti che si siano viste negli ultimi vent’anni, o anche solo la brutalità della sequenza iniziale di “Irreversibile”, dove Vincet Cassel viene picchiato selvaggiamente in un locale mentre molti dei presenti stanno a guardare. Sfiducia nell’umanità oppure percezione reale di quanta indifferenza ci sia nel mondo?
Il cinema Di Gaspar Noè può essere identificato come un lungo viaggio psichedelico alla ricerca del male.
Si tratta di uno sperimentatore che è passato senza alcuna difficoltà dalla pellicola al digitale, esplorando entrambi i supporti con entusiasmo e una scintilla di genialità, un autore riconoscibile nella messa in scena, nell’utilizzo dei colori, nei movimenti di macchina, che è riuscito a creare uno stile inconfondibile, dei veri e propri trip cinematografici che però non si risparmiano degli scivoloni nel cattivo gusto e nella provocazione fine a se stessa.
Forse questa è una precisa strategia cinematografica, il suo desiderio di utilizzare questa forma d’arte come arma di distruzione di massa, oppure semplicemente un uso troppo smodato di droghe, di cui il buon Gaspar Noè non ha mai nascosto l’utilizzo, soprattutto durante le riprese di Enter the Void.
Non possiamo saperlo. Possiamo soltanto continuare a tenerlo d’occhio, provando, per chi se la sente, a giudicare i suoi film con pazienza, cercando dove possibile, di andare a fondo e riconoscendogli indubbiamente alcuni meriti oggettivi.
Aspettiamo il suo nuovo “Vortex“, interpretato da Dario Argento, un film elogiato al festival di Cannes come un capolavoro e che speriamo di vedere anche in Italia molto presto.
Add Comment