Catene di gloria è un romanzo di Nana Kwame Adjei-Brenyah, autore americano protagonista di quello che può essere definito una “new wave” letteraria composta perlopiù da scrittori di origine africana che non solo riesce a intrattenere il grande pubblico, ma anche ad analizzare la società statunitense e le sue tragedie.
Quotidianamente, i media ci raccontano tragedie, guerre che lacerano le vite e gli equilibri sociopolitici mondiali, ma ci mostrano anche il dramma che si vive ogni giorno nelle carceri: un universo a sé stante in cui le regole interne spesso e volentieri vengono infrante non solo dai detenuti, ma dai tutori dell’ordine.
Questo problema che non riguarda solo l’Italia, ma anche gli Stati Uniti, ed è questa l’idea su cui si basa la seconda opera di Nana Kwame Adjei-Brenyah, figura di spicco nella narrativa americana già affermatosi al grande pubblico con “Friday Black“.
Utilizzando gli strumenti efficaci che la distopia può offrire, lo scrittore ci porta in una nuova America dove non c’è salvezza, le carceri sono fucine di macchine da guerra il cui compito è annientare, la politica è inesistente, e i cittadini sono drogati dal web.
Sono i detenuti a essere i nuovi eroi dell’americano medio in “Catene di gloria”, il reality show più seguito del Paese. I diversi lottatori, spesso decisamente inferiori per intelligenza e abilità alle lottatrici, hanno il compito di sconfiggere il loro avversario nel modo più cruento e spettacolare possibile in incontri accessibili a tutti. Sono tanti gli spettatori e tantissime le aziende che sponsorizzano e investono in un gioco al massacro divenuto un’importantissima fonte di guadagno.
“Catene di gloria” edito da Edizioni Sur, è un racconto irrorato di sangue e sentimentalismo dove i protagonisti sono i gladiatori del futuro. No, non ci sono raggi laser e cannoni a impulso, le armi dei campioni sono spade, martelli, falci e mazze: strumenti di morte che riportano all’antichità e alla brutalità del combattimento corpo a corpo.
Il ritmo e la struttura, perlopiù composta da flashback e voci narranti che si intersecano a ogni nuovo capitolo, danno spessore a un romanzo che riesce a sedurre un pubblico vasto, composto perlopiù da lettori amanti dell’azione e del thriller, tuttavia, la profonda critica sociale e l’analisi interna di una nazione allo sbando elevano l’opera a qualcosa di più del semplice intrattenimento.
È difficile non pensare che i grandi del postmodernismo come Pynchon e soprattutto Wallace non abbiano influenzato la poetica di Adjei- Brenyah, in particolare nella descrizione del consumismo, dell’egemonia televisiva in grando di influenzare le coscienze e in particolar modo, dello strapotere aziendale capace di dettare leggi e imporre nuove regole, caratteristiche che ci proiettano, ovviamente con le dovute proporzioni, nell’universo di Infinite Jest.
Pur non descrivendo un contesto politico preciso, l’autore punta i riflettori su una questione importante, che ancora oggi non trova risposta: quali sono le possibilità degli ultimi?
È innegabile che “Catene di gloria” sia il ritratto di una degenerazione fascista e di un pensiero che non vede uguaglianza ma solo nomenclature tra gli esseri umani, ma è anche il manifesto del fallimento totale di una sinistra bugiarda e incapace di accogliere e reinserire i reietti nella società. “Succhiami il cazzo America!” urla uno dei personaggi, una frase che non è uno slogan, bensì un grido che non trova risposta tra i potenti del Paese, i quali preferiscono tapparsi le orecchie e produrre spettacolo cannibalizzando il loro stesso tessuto sociale.
È presente però anche un barlume di speranza tenuto vivo proprio dagli ultimi, i protagonisti che stanchi di uccidersi a vicenda, riescono a elaborare un piano per ritrovare un’umanità che erano convinti di avere smarrito.
Ci sono poi i personaggi più vicini a noi, quelli che ancora possiedono la capacità di capire e contrastare la follia che regge il reality “Catene di gloria”. Gli attivisti che popolano il libro infatti simboleggiano la fiducia che l’autore coltiva, anche se con qualche difficoltà, nei confronti del proprio Paese.
Vale davvero la pena avventurarsi in un romanzo lungo e intenso come “Catene di gloria” e scoprire una nuova voce made in Usa che, proprio come S.A Cosby e Colson Whitehead (premio Pulitzer per “La ferrovia sotterranea) riesce a raccontare un’America violenta e lontana da come ce la siamo sempre immaginati, ma che comunque non smetterà mai di affascinarci.
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