“A sangue freddo” è uno dei romanzi più celebri del leggendario Truman Capote, autore americano controverso, di culto, rivoluzionario e sregolato.
Di questo romanzo si è parlato tanto e non si smette di citarlo. Capostipite di un genere, il “romanzo verità” di Truman Capote parla a ogni generazione, supera le barriere del tempo e sbalordisce per la sua incredibile modernità.
Inizialmente, il celebre scrittore si avvicinò al terribile caso in veste di giornalista per il New Yorker, ma gli bastò mettere piede in Kansas, respirarne la brezza e osservare le distese di campi che costeggiavano la casa dei Clutter per capire che quello che aveva davanti era un materiale troppo ampio stratificato e per un solo reportage.
Ancora oggi è sbalorditiva la lucidità e soprattutto l’imparzialità con cui Capote abbia affrontato questa avventura. Tra queste pagine si fondono sociologia e psichiatria e giornalismo senza la mimina contaminzione politica o ideologica.
Capote si spoglia di ogni preconcetto, mette a disposizione il suo talento sconfinato per analizzare il male che ha scosso la cittadina attraverso un montaggio alternato in cui si mescolano passato e presente, oltre ai diversi punti di vista delle persone coinvolte.
Non solo gli assassini, Perry e Hickock, ma anche le storie private del signor e la signora Clutter, dei figli e della comunità, un vero e proprio caleidoscopio di episodi, informazioni e risvolti psicologici in grado di fornire al lettore una mappatura completa del massacro e un inquadramento storico ben definito.
Siamo infatti all’inizio degli anni Sessanta, Capote, dopo l’overdose di successo avuto con “Colazione da Tiffany” decide di cambiare rotta ed esplorare l’oscurità, affrontando di petto il male mettendo al centro la sua anima di scrittore e antropologo.
Sfida l’opinione pubblica (si fa fotografare con i due assassini), scava, si incapriccia di uno dei carnefici (Perry) eppure riesce sempre a mantenere un controllo totale della materia che tratta e conseguentemente della scrittura. Questo non significa che il libro sia un glaciale trattato di criminologia, anzi, il contrario: “A sangue freddo” è un libro che riesce ad andare a fondo, al centro dell’anima dei personaggi che lo popolano e al cuore di chi legge.
Nella letteratura italiana, un altro grande scrittore ha deciso di confrontarsi con la cronaca, decidendo di raccontare un caso che ha scosso il nostro paese: la morte di Luca Varani, un giovane che dopo ore di sevizie è stato ucciso da due giovani uomini della cosiddetta Roma bene.
Lavorare con la fantasia è molto difficile, ma immergere le mani nella melma della realtà, penso sia ancora più difficoltoso.
Come Capote, Lagioia non sale in cattedra e non elabora sentenze. Non si ha l’impressione che guardi la storia dall’alto di un cielo plumbeo, ma che ci sia in mezzo, che la osservi ad altezza uomo.
Attraverso la scrittura mette ordine nel caos della tragedia, la assorbe, la elabora, rivelandosi con onestà per poi diventare, infine, spettatore.
Leggere “La città dei vivi” ed entrare nell’appartamento di via Igino Giordani a Roma, significa guardare in faccia lo spirito autodistruttivo che alberga in ognuno di noi, in grande o microscopica parte.
“A sangue freddo” e “La città dei vivi” sono libri molto simili e allo stesso tempo diversi, con due identità definite, ma entrambi distorcono le nostre coscienze, ci fanno del male, ma tutti abbiamo bisogno di scandagliare i lati oscuri del genere umano, e non esistono mezzi più efficaci del cinema e della letteratura.
Con “A sangue freddo” Capote ebbe un successo straordinario. Le vendite e i diritti cinematografici lo resero ancora più ricco e famoso, ma dopo quel romanzo, la sua esistenza cominciò a deragliare: i suoi problemi con l’alcol si acutizzarono e l’uscita di “Preghiere esaudite” il suo ultimo romanzo, ne segnò la rovina. La fine di uno dei più grandi scrittori di sempre.
Oltre alla lettura imprescindibile di questo capolavoro, consiglio anche la visione di “Capote”, film del 2005 diretto da Bennet Miller e interpretato, magistralmente, dal compianto Philip Seymour Hoffman.
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